Come distinguere fra disbiosi e intolleranze alimentari
Gonfiore addominale, digestione lenta, stanchezza dopo i pasti, cefalea ricorrente o irritabilità intestinale sono sintomi comuni che molti associano subito a un’intolleranza alimentare. In alcuni casi, però, il vero responsabile non è il cibo in sé, ma una condizione meno visibile: un’alterazione del microbiota intestinale.
Il microbiota, cioè l’insieme dei microrganismi che abitano l’intestino, è un regolatore silenzioso ma potentissimo della nostra salute digestiva e immunitaria. Comprendere la relazione tra microbiota e intolleranze alimentari può aiutare a evitare diagnosi errate e ad affrontare i sintomi alla radice.
Cos’è il microbiota e perché è coinvolto nelle reazioni agli alimenti
Il microbiota intestinale partecipa attivamente alla digestione, alla produzione di enzimi e vitamine, alla protezione delle mucose e alla regolazione del sistema immunitario. Quando questo ecosistema è in equilibrio, l’organismo è più tollerante, anche nei confronti di alcuni alimenti potenzialmente irritanti.
Al contrario, quando si verifica una disbiosi – cioè uno squilibrio nella composizione della flora batterica – si possono generare fermentazioni anomale, infiammazioni e un’aumentata permeabilità intestinale (nota anche come “leaky gut”). Questo porta l’organismo a reagire in modo eccessivo o disfunzionale a determinati cibi, imitando i sintomi di una vera intolleranza alimentare.
Quando è la disbiosi a simulare un’intolleranza
In molti casi, i sintomi attribuiti a un’intolleranza (ad esempio al lattosio, al glutine o ai FODMAP) sono in realtà causati da un’alterazione del microbiota. Alcuni batteri intestinali producono gas, tossine o metaboliti irritanti che provocano gonfiore, dolore addominale, feci irregolari e senso di pesantezza dopo i pasti. Il problema non è tanto l’alimento in sé, quanto la difficoltà dell’intestino a gestirlo a causa della flora alterata.
In queste situazioni, eliminare l’alimento può dare un sollievo temporaneo, ma non risolve la causa. Anzi, eliminazioni prolungate e non guidate possono impoverire ulteriormente il microbiota, peggiorando la disbiosi e alimentando un circolo vizioso.
Quando il microbiota segnala un’intolleranza reale
Dall’altra parte, anche una vera intolleranza può essere accompagnata da modificazioni nel microbiota. Questo avviene perché l’assunzione ripetuta di un alimento mal tollerato può alterare l’ambiente intestinale, selezionando ceppi batterici pro-infiammatori e aumentando la permeabilità della barriera intestinale.
In questi casi, la disbiosi diventa un indicatore e un amplificatore dell’intolleranza, peggiorando i sintomi e rendendo l’intestino più reattivo. È ciò che accade, ad esempio, nei casi di intolleranza al lattosio, dove una carenza dell’enzima lattasi modifica il profilo batterico e provoca fermentazioni eccessive.
I sintomi da osservare con attenzione
Non esiste un solo modo in cui l’intestino manifesta uno squilibrio. Alcuni dei sintomi più frequenti, che meritano attenzione, sono:
- Gonfiore addominale, soprattutto dopo i pasti
- Meteorismo o sensazione di tensione intestinale
- Dolori o crampi addominali ricorrenti
- Alternanza tra stitichezza e diarrea
- Digestione lenta, nausea o reflusso
- Cefalee post-prandiali o stanchezza marcata dopo aver mangiato
- Irritabilità, alterazioni del tono dell’umore o difficoltà di concentrazione
Questi segnali non indicano necessariamente una vera intolleranza, ma suggeriscono che qualcosa nel microbiota intestinale non funziona correttamente. Ignorarli o procedere con auto-esclusioni alimentari può peggiorare la situazione.
Il Gut Screening: uno strumento per capire cosa succede davvero
Per distinguere tra un’intolleranza vera e un disturbo legato alla disbiosi intestinale, il Gut Screening rappresenta un’indagine fondamentale. Questo test analizza in modo approfondito la composizione del microbiota, individuando eventuali squilibri, eccessi di batteri fermentativi, presenza di lieviti o disfunzioni della barriera intestinale.
Il Gut Screening non si limita a descrivere “quanti batteri ci sono”, ma fornisce una valutazione funzionale, utile per capire se il microbiota sta favorendo o ostacolando la tolleranza alimentare. Inoltre, consente di impostare un percorso di riequilibrio mirato, anche attraverso l’uso personalizzato di probiotici, integratori o modifiche della dieta.
Fonti scientifiche:
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